All’inizio del mio cammino, quando ho incontrato per la prima volta l’ayahuasca, nel 2004, ero convinta che il semplice fatto di bere ayahuasca bastasse di per sé a trasformare in meglio le persone.
Questa convinzione nasceva dal fatto che nel mio caso specifico le cose erano andate proprio così.
Non avevo mai fatto nessun altro tipo di percorso spirituale, se non qualche intrusione estemporanea in corsi di Yoga o di Tai Chi, qualche lettura più o meno illuminata e i ripetuti fallimenti del mio psicologo di introdurmi all’antroposofia.
Tutte queste cose mi attraevano molto, ma la mia mente troppo dinamica e la mia inquietudine emozionale mi impedivano di dedicarmi in maniera proficua a un qualsiasi percorso. Erano necessarie troppa pazienza, troppa costanza e troppa disciplina. Tutte qualità che mi mancavano.
Nell’ayahuasca avevo trovato un catalizzatore perfetto che sopperiva a tutte le mie mancanze: mi inchiodava al pavimento e mi “costringeva” a lavorare su me stessa.
Uscii fuori da 5 intensi anni di lavoro interiore profondamente trasformata, ringraziando quotidianamente l’ayahuasca per avermi aiutata a migliorarmi e a superare tante lacune caratteriali, che mi causavano problemi di salute non indifferenti.
Per un certo periodo smisi così di rivolgermi a Lei, contenta dei risultati acquisiti e decisa a continuare il mio cammino con mezzi più “normali”.
Cominciai a fare yoga, a praticare la meditazione, a cercare scuole di evoluzione interiore, persone che mi potessero indirizzare nella mia ricerca. Ne ho trovate di buone e di cattive, di vere e di false.
Ma mi rendevo conto che, anche nelle migliori, mancava sempre qualcosa: mancava una reale esperienza della dimensione trascendentale. A volte i capiscuola dimostravano di avere, o di avere avuto, accesso a stati superiori di coscienza, ma mai nessuno era in grado di trasmettere ai suoi discepoli qualche tecnica che permettesse loro di fare altrettanto.
Non ho mai negato la validità di strumenti come la meditazione, il pranayama, i mantra, la preghiera, il digiuno, le danze sufi… sono tutte tecniche fantastiche in cui riconosco il seme di una volontà vera di aiutare l’uomo a trascendere la sua condizione animale.
Ma, forse a causa dell’eccesiva rigidità con cui funziona il cervello nella società occidentale, queste tecniche risultavano ai miei occhi troppo “blande”.
Continuavo quindi a guardare con nostalgia al mio passato e non smettevo mai di tenere un piede nel vecchio cammino.
La caduta delle certezze
Un giorno andai a una conferenza in un centro sociale di Milano e assistetti a un resoconto che mi lasciò esterrefatta.
Un ragazzo che aveva vissuto per più di due anni con varie tribù indigene dell’Amazzonia, raccontava di come il rapporto di queste tribù con l’ayahuasca stesse cambiando a causa del contatto con l’uomo bianco, che aveva introdotto il denaro.
Arrivò a raccontare che alla tv Americana avevano trasmesso una puntata di un qualche serial televisivo, in cui il boss mafioso di turno si recava a una cerimonia di ayahuasca, si “lavava la coscienza”, e ne usciva “rigenerato”. Sgombro dai rimorsi poteva così continuare a commettere i suoi crimini in “santa pace”.
Mi ribellai. «Non è possibile!» commentai al conferenziere una volta finita la sua dissertazione, «l’ayahuasca ti mostra i tuoi difetti, e ti fa sentire talmente uno schifo nel capire il male che hai provocato a te stesso e agli altri, che tu non puoi fare a meno di eliminarli e cambiare comportamento!»
Sorrise benevolo, come si fa con un bambino che per la prima volta scopre che il mondo “è cattivo”, e rispose:
«Questo accade a te, perché tu sei una persona buona. Ci sono persone che non hanno questo desiderio di cambiare, e con quelle, l’ayahuasca non può fare niente.»
Più tardi lessi un articolo in cui una personalità molto in vista nell’ambito della sperimentazione con l’ayahuasca, che citava uno sciamano con cui aveva lavorato a lungo. Lo sciamano diceva:
«Ho visto tantissime cattive persone bere ayahuasca centinaia di volte, e rimanere cattive persone.»
Cominciai a riflettere molto sulla questione. Era molto difficile per me accettare questa visione dell’ayahuasca come “non buona in sé e per sé”.
“E’ uno spirito. E’ uno spirito di amore e di compassione. Come può aiutare le persone a diventare dei ‘criminali migliori’?” mi dicevo.
Proseguii dunque la mia ricerca, con questo nuovo assunto in mente da verificare, come un faro che indicasse la rotta. Oggi posso dire che, dopo ulteriori svariati anni e ulteriori svariate esperienze, ho trovato la risposta.
No, bere semplicemente ayahuasca non mi farà diventare una persona migliore.
Curanderismo, buddismo, cristianesimo e oltre…
Qualsiasi tradizione spirituale occidentale o orientale, dalla più antica alla più moderna, mette l’accento sul sacrificio, su un certo grado di rinuncia, su doveri e regole che è necessario seguire al fine di raggiungere le vette della realizzazione spirituale. E’ quindi necessario fare dei cambiamenti nel proprio carattere e nelle proprie disposizioni interiori affinché energie più sottili e più luminose prendano il controllo della nostra vita. O quantomeno abbiamo piacere ad accompagnarci e a farci visita ogni tanto.
Da molti ho sentito dire che lo sciamanesimo sovverte questa costante. Nello sciamanesimo non ci sarebbero regole, non ci sarebbero rinunce, non ci sarebbero divieti. Forse è anche per questo che molti sono attratti dalle numerose offerte di gruppi sparsi qua e là che invitano a “bere ayahuasca” per il risveglio della coscienza.
Niente di più falso.
In uno dei miei ultimi viaggi in Amazzonia ho avuto la fortuna di conoscere uno dei forse ultimi curanderi rimasti in giro. Ahimè purtroppo è vero. Sono rimasti veramente in pochi, e quelli che sono rimasi non si fanno pubblicità su internet.
Parlando di come si diventa curanderos mi ha detto:
«Bisogna soffrire. Come qualsiasi cosa importante nella vita, per ottenerla bisogna soffrire molto. Non è facile ritirarsi in solitudine nella foresta per mesi e mesi senza vedere nessuno, mangiando solo pesce e platano, e affrontando tutte le prove cui le piante ti sottopongono per vedere se sei degno di ricevere i loro insegnamenti.
Non è come molti fanno oggi. Fanno ‘diete’ di sei mesi, quando va bene, a volte anche di meno, al sicuro nella loro casa o in qualcuno di questi centri che sono spuntati ovunque, dove opera solo “gente mentirosa”. E poi chiamano sé stessi sciamani. Ma in verità non hanno nessuna forza, nessun potere, nessuna vera conoscenza.
No, bisogna soffrire. E soffrire abbastanza, per diventare dei veri curanderi.
Un vero curandero non mente. Non inganna. Ha una sola parola. E non cura per arricchirsi.
Cura perché questa è la sua missione.
I pazienti lo pagano, questo è certo, perché anche lui deve vivere. Ma cosa succede se il paziente non ha soldi perché magari non lavora, forse proprio perché è malato non riesce a lavorare? Il curandero forse non lo deve curare? Sai quanti miei pazienti sono guariti e non mi hanno finito di pagare? E io cosa dovrei fare? Smettere di curare?
No, questo è un loro problema, non mio. Io ovunque vada sono conosciuto e rispettato. Tutti mi cercano perché sanno che io curo veramente.
Bisogna soffrire, soffrire molto, per diventare un vero curandero. Senza sofferenza non si ottiene nulla.»
Dallo Yoga Sutra di Patanjali
Contemporaneamente stavo allietando le mie giornate con la rilettura di uno dei testi sacri più illuminanti di tutti i tempi: lo Yoga Sutra di Patanjali.
Mi è saltato agli occhi con prepotenza quanto siamo simili i presupposti per diventare un vero sciamano, così come me li aveva descritti il curandero, e i precetti di Yama e Niyama, che sono a fondamento dello Yoga: solitudine (ritiro dai sensi), castità, rinuncia ai piaceri mondani, abbandono a Dio, sincerità, onestà….
E cosa vogliamo dire dei 10 comandamenti [se li leggiamo nella loro essenza e non per quello che ci hanno raccontato – snaturandoli – al catechismo…]? Non dicono forse esattamente le stesse cose?
E l’ottuplice sentiero Buddista? Contraddice forse qualcuna di queste affermazioni?
Per quanto dunque non esista nessun trattato filosofico pari allo Yoga Sutra di Patanjali, nella tradizione del Curanderismo Vegetalista Amazzonico, la testimonianza diretta di questo curandero mi ha confermato che anche il cammino con le Piante Maestre, se vuole essere ‘pro bono’, non è scevro da regole e indicazioni di condotta, etica e moralità, sacrifici e rinunce. Proprio come qualsiasi cammino autenticamente spirituale.
Sempre nello Yoga Sutra di Patanjali, nel terzo pada, troviamo un sutra che nobilita il cammino con le piante come uno dei 5 possibili modi per ottenere la liberazione. Recita più o meno così:
«Cinque sono i modi attraverso i quali si possono ottenere i poteri soprannaturali (siddhi):
– per nascita virtuosa
– tramite l’uso di piante di potere
– tramite la ripetizione di mantra
– tramite la devozione al Signore
– tramite la pratica del Samadhi»
Subito dopo tuttavia Patanjali precisa i rischi collegati all’ottenimento dei poteri spirituali senza aver precedentemente praticato nessuna disciplina che insegni l’auto-osservazione, l’auto-controllo, la retta condotta, la rinuncia e l’armonizzazione di tutte le qualità interne. Per questo esalta, tra le 5 possibili vie, solo la meditazione e la devozione, perché, dice, sono le più sicure, quelle che meglio prevengono il “risvegliato” da eventuali cadute, a volte molto, molto, dolorose.
Concludendo
Cosa accade dunque a tutte le persone che bevono ayahuasca senza affiancare ad essa un valido cammino evolutivo di supporto?
Molti rimangono semplicemente intrappolati nel proprio ego. Come il gangster della serie televisiva, lavano la propria coscienza, alleviano i propri sensi di colpa, e tornano a comportarsi come prima.
Altri abbracciano addirittura percorsi involutivi: convinti che chi gli sta parlando sia “lo spirito dell’ayahuasca”, si imbarcano in imprese che dipingono con i colori del salvataggio del mondo, ma in realtà non fanno altro che espandere questa confusione, e questo uso pericoloso di una delle vie più dirette per il raggiungimento della trascendenza.
E proprio perché diretta, più pericolosa.
Altri ancora probabilmente ricevono dalla Madre Ayahuasca il supporto psicologico e psico-fisico di cui hanno bisogno, guariscono dai loro problemi, ringraziano e continuano la loro vita, senza farsi ulteriori domande. Il buon seme piantato nella loro coscienza, forse germoglierà in futuro. Esistono anche questi casi, per fortuna!
A tutte queste persone, e a quelle che stanno ancora cercando, quindi dico: «no, bere semplicemente ayahuasca non vi renderà persone migliori. E’ necessario accompagnare queste incursioni nell’altra realtà con una pratica mirata alla conoscenza di sé». Ma una pratica Reale, anche qui non basta mettere insieme qualche tecnica pseudo-psicologica, qualche rimpasto new-age di tecniche mischiate a caso, giusto per ‘fare qualcosa’.
Trovare un buon cammino di evoluzione personale non è più facile che trovare una persona cosciente che invita a bere ayahuasca. Ma entrambi sono necessari affinché ‘bere ayahuasca’ non si converta nell’ultima moda dello sballo del fine settimana, dove la gente va per la lavarsi la coscienza, “distrarsi” dalle incombenze materiali, e tornare alla vita di sempre, esattamente come prima.
E l’Ayahuasca (La Madre)?
Ma in tutto questo, l’ayahuasca in quanto Spirito, entità senziente, dove si pone? Che ne è stato del mio dubbio iniziale “come è possibile che una pianta che è uno Spirito di Luce possa favorire comportamenti negativi?”
La risposta è più semplice di quanto potessi immaginare, e risiede nel nostro libero arbitrio, proprio come qualsiasi altro campo. In qualsiasi momento possiamo ricevere buoni consigli e non metterli in pratica.
Ciò che avviene durante l’espansione di coscienza favorita dall’ayahuasca è di solito più convincente di un semplice ‘buon consiglio’, perché coinvolge altri piani, oltre alla comprensione intellettuale. Tuttavia l’ultima decisione spetta a noi. E non è affatto raro trovare ogni sorta di scusa per non mettere in pratica quello che si è ricevuto, scartando i consigli più lontani dai nostri desideri e mettendo in pratica solo quelli a noi più consoni. Che poi spesso sono quelli meno autentici.
Da quali entità luminose ci aspettiamo infatti di essere contattati, quando non seguiamo nessuna disciplina spirituale e la nostra coscienza è infestata da pensieri ed emozioni disordinati e ‘parassiti’?
Ormai tutti conoscono quella che viene chiamata ‘legge di attrazione’: noi attiriamo le energie che risuonano alla nostra stessa frequenza vibratoria. Chi possiamo aspettarci di attirare dunque, durante i nostri stati amplificati di coscienza: angeli e spiriti elevati (Buddha, Cristo, Krishna… con cui molti dicono di parlare durante le cerimonie…), oppure qualche altro tipo di entità ‘disturbatrice’ mascherata, che magari non aspettava altro che un varco dimensionale per avventarsi sul prossimo banchetto?
Le regole sono una risorsa non un limite
Tutti vogliono essere spirituali, ma a nessuno piace seguire le regole.
Questo è tipico della nostra cultura egocentrica e frettolosa.
Ho sentito pochi, pochissimi, mettere in dubbio le proprie visioni di ayahuasca, quasi nessuno domandarsi “sarà Reale quello che ho visto/percepito”? Eppure qualsiasi percorso spirituale mette in guardia dall’apparizione di falsi maestri lungo il cammino, e come ho già descritto, anche lo sciamanesimo amazzonico, che fa dell’ayahuasca il suo principale strumento, dice chiaramente che se non seguiamo le regole le piante non ci daranno i loro insegnamenti.
E le regole non sono piacevoli.
Non esiste la regola “fai quello che ti pare”, neanche nello sciamanesimo.
A meno che non si voglia dare ascolto agli “sciamani moderni”, di cui purtroppo anche l’Amazzonia è piena, che adattano le dure regole del Vegetalismo alle ambizioni dei gringos con mucho dinero. Allora si sentirà dire che la dieta è un’invenzione moderna, che non c’è bisogno di nessun isolamento, che si può fare anche sesso senza alcun problema… basta che paghi.
Quindi non mi resta che concludere, ancora una volta, attenzione a chi ci invita a bere ayahuasca, qui come nella foresta. Se non ci sono regole da seguire, se tutto è permesso, se non c’è un’analisi critica delle esperienze avute, nessun supporto, nessuna guida, diffidiamo. E anche quando ci fosse una guida, è necessario capire bene che tipo di guida sia. Come si è formata, per quanto tempo, cosa faceva (o fa) prima di convertirsi in uno sciamano/facilitatore.
So che non è un compito facile seguire le regole. Come diceva sempre lo sciamano di cui sopra: «se diventare uno sciamano fosse facile, saremmo tutti sciamani». Ma ricordiamo sempre, se vogliamo diventare persone migliori, se vogliamo guarire dalle distorsioni che la nostra civiltà ha creato nelle nostre personalità, se vogliamo evolvere la nostra coscienza, il semplice fatto di bere ayahuasca non basterà.
L’ayahuasca è uno strumento potentissimo, utile se non addirittura necessario, come dicevo all’inizio, in questa epoca di ghiandole pineali calcificate. Ma attenzione a considerarla uno strumento assoluto. Da buono strumento, è fatto per essere usato, e il modo in cui viene usato vale di gran lunga di più dello strumento stesso.
Si laurea in Sociologia nel 2001 alla Sapienza di Roma, con una tesi sull’uso contemporaneo di sostanze psichedeliche. È ricercatrice spirituale dal 2004 e apprendista di medicina tradizionale amazzonica dal 2017. È autrice della trilogia autobiografica “Storia d’Amore e d’Ayahuasca”.
gli articoli su questo sito sono sempre molto interessanti…dovreste postarne di piu -)…
Ciao Alex,
grazie del commento e dell’incitamento. Anche noi vorremmo postarne di più 🙂 ma non sempre si trova il tempo di fare tutto 😉
continua a leggerci!
Bellissimo questo articolo, da leggere e rileggere fino ad impararlo a memoria 🙂
Addirittura!!! 😀
Cmq si, anche io stessa a rileggerlo a distanza di quasi due anni, sento ancora la genuinità dell’ispirazione che lo ha generato. Viva ispiraçao!!! <3
2 spezzoni mi hanno interessato parecchio, quando ho letto: “Cosa accade dunque a tutte le persone che bevono ayahuasca senza affiancare ad essa un valido cammino evolutivo di supporto?
Molti rimangono semplicemente intrappolati nel proprio ego. Come il gangster della serie televisiva, lavano la propria coscienza, alleviano i propri sensi di colpa, e tornano a comportarsi come prima.”.
Infatti questa situazione l’avevo seppur parzialmente intuita un po’ di tempo fa, quando ho pensato che questa medicina potesse creare una sottile forma di dipendenza.
Nel senso che siccome tutte le persone nell’ambiente aspirano ad essere il più evoluti spiritualmente possibile, senza un percorso di base come quello descritto nell’articolo va a finire che diventa una sorta di gara a chi partecipa a più cerimonie.
Quando invece può benissimo succedere che una persona che partecipa a poche cerimonie all’anno ma con un valido percorso spirituale alle spalle (non new-age) avrà più beneficio (se proprio vogliamo usare questo termine) rispetto ad una persona che frequenta determinati contesti più volte al mese la quale non fa nulla di nulla al di fuori del contesto cerimoniale.
Poi ovviamente subentrano molti altri fattori secondari i quali sono del tutto mentali di approccio e di empatia verso lo spirito della pianta e del contesto che si sta vivendo, fattori dei quali ne si potrebbe parlare per ore 🙂
e poi nella conclusione: “Tutti vogliono essere spirituali, ma a nessuno piace seguire le regole.
Questo è tipico della nostra cultura egocentrica e frettolosa.”.
Per curiosità mi leggerò anche l’articolo che mi sembra una sorta di seguito, ossia “Come una pratica spirituale può aiutare l’ayahuasca”. 🙂
Se ti interessa questo argomento leggi anche l’articolo sull’integrazione. Lí vengono descritti alcuni dei cammini evolutivi (spirituali e non) che meglio si sposano con la partecipazione alle cerimonie…
http://www.ayahuasca-info.it/sicurezza/integrazione-ayahuasca-prassi-virtuose/