Tra l’uso sconsiderato e commerciale che alcuni occidentali fanno dell’ayahuasca, e le tradizioni puramente sciamaniche, c’è una via di mezzo che, partendo da queste, adatta il rituale alle esigenze del mondo occidentale.
Sulle labbra di alcuni nativi amazzonici e andini c’è una lamentela relativamente frequente riferita alla diffusione e all’uso dell’ayahuasca da parte dei non nativi, lamentela che, dal mio punto di vista, ha e non ha fondamento, dipende da caso a caso.
Ho ricevuto alcuni rimproveri perché sto sviluppando e diffondendo una nuova maniera di usare la famosa mistura amazzonica, che ho nominato «terza via di uso dell’ayahuasca», che situo al lato della via sciamanica – non come sostituto –, che è la maniera propria dei popoli originari animisti, e al lato della via devozionale dei sincretismi religiosi brasiliani nati nella prima metà del secolo XX.
Onestamente non sento di dover difendermi da queste accuse perché la maggior parte di esse non hanno motivo di essere. Non ostante ciò raccolgo il guanto, come si dice, per spiegare meglio circa questo tema, di cui, per qualche motivo, non si sta parlando.
Innanzitutto esprimo il mio più profondo e totale rispetto per le tradizioni amazzoniche e andine che hanno mantenuto vivo nell’arco dei secoli il consumo di queste risorse vegetali per prendere consapevolezza della propria coscienza, per guarire la dissociazione nevrotica che tanto affligge l’occidentale medio, per vedere, prendere decisioni in forma millenaria e rivivere la presenza di forze superiori che, si creda o no, reggono il nostro destino.
Dopo decenni di studi scientifici e dopo essere stato iniziato in forma stretta nell’arco di mesi in un ramo della tradizione sciamanica dell’Alta Amazzonia, non credo che mi si possa accusare di essere un dilettante incoerente nel mio avvicinarmi agli effetti dell’ayahuasca, né di commercializzare questo enteogeno tradizionale.
Non mi arricchisco, né lo pretendo, con l’applicazione dell’ayahuasca in psicoterapia seguendo i protocolli che ho sviluppato in anni di ricerca, o tutelando sessioni di gruppo dirette alla coltivazione del mondo interiore dei partecipanti, una forma di spiritualità pratica utile all’occidentale medio attuale. Ad ogni modo dove c’è l’oro vero c’è sempre anche quello finto.
Di fatto chiedo un apporto economico per questi servizi che, come tutte le transazioni nel mondo attuale, ha una dimensione monetaria. A nessuno deve sorprendere, quindi, che si chieda un pagamento per questo. E non è niente di nuovo, non facciamo i puritani: per quanto so, anche gli sciamani amerindi tradizionali chiedevano e chiedono «una collaborazione» ai propri pari per le loro attività di cura.
«Bere ayahuasca mi fa soffrire, ha un cattivo sapore, la notte che bevo quasi non dormo… qualcosa mi si deve dare in cambio», è la spiegazione che mi è stata data più di una volta dagli sciamani Shuar e Quichua a cui ho chiesto. Ed è più che ragionevole nell’ambito degli esseri umani. Io ti do e tu mi dai, così la bilancia è in equilibrio, nessuno deve nulla a nessuno, le relazioni si mantengono egualitarie e non c’è sentimento di colpa o di debito per aver ricevuto senza aver dato nulla in cambio.
Da parte mia supporto i costi del lavoro delle persone che coltivano, preparano e mi procurano la mistura, e con ciò favorisco una redistribuzione monetaria transatlantica. Inoltre c’è il mio lavoro come specialista, il tempo dedicato e, con frequenza, l’ospitalità. Tutto ciò implica porre un prezzo, sia monetario o in forma di intercambio.
Un mercato abusivo
Ciò detto, resta da specificare che ci sono due temi da chiarire sull’uso dell’ayahuasca in occidente e in relazione alle sessioni dirette da occidentali in Sudamerica.
Da un lato c’è il tema dell’arricchimento fraudolento. Certamente trattandosi di un mercato nuovo in Occidente e in Giappone, di un mercato non regolato, e trattandosi di un’esperienza proibita per le assurde leggi di molti paesi occidentali, fino a un certo punto si tratta di un’esperienza che viene offerta in modo occulto e illegalmente e non c’è chiarezza né controllo di prezzi ragionevoli.
Questa situazione favorisce che ci siano autentici mercanti di ayahuasca che chiedono prezzi più che inammissibile per una dose media di 50 ml., spesso anche mal somministrata. Mi hanno scritto casi in cui si è arrivati a chiedere fino a tremila euro per una sessione esclusiva per russi ricchi che hanno viaggiato fino a Barcellona per avere «l’esperienza», poiché nel loro paese l’ayahuasca è completamente penalizzata. Inoltre a me è stato proposto di dirigere queste sessioni, che ho rifiutato per ragioni ovvie e per altre che ora ci porterebbero fuori strada.
In altri casi, anche abusivi, si chiede tra i cento e i quattrocento euro per una sessione. Secondo me un lavoro o cerimonia di gruppo dovrebbe costare tra i 50 e i 100€ in europa, a seconda dell’esperienza della guida, della qualità dell’ayahuasca (non si parla di questo però, come per il vino, ci sono diverse qualità) e di altri costi di contorno come il costo del locale, se il cibo è incluso oppure no, o l’alloggio dopo la cerimonia, etc. Un tema al margine è il prezzo delle sessioni terapeutiche che dipendono da altre variabili come la professionalità del terapeuta, il tempo dedicato, l’esperienza, il rischio legale che ci si assume etc.
E così, di fatto, ci sono molti abusi nel mercato ayahuasquero. Ci sono numerosi squilibrati illuminati che, dal loro fanatismo, si credono chiamati dalla divinità a salvare l’umanità, annunciando le proprie sessione attraverso internet, come se la salvezza dell’umanità dipendesse da qualche persona delirante che distribuisce ayahuasca – abitualmente a prezzi esorbitanti, il che aggiunge un curioso interesse mercantile al loro pericoloso fanatismo spirituale.
In alcuni di questi casi, è sorprendente che la polizia spagnola, così efficace a trovare delinquenti sotto le pietre, non arresti le persone che annunciano apertamente le loro sessioni di ayahuasca in internet. Bisogna solo cercarlo in un motore di ricerca. Secondariamente osservo, quasi sempre si tratta della stessa rete sotto diversi nomi internazionale, con il che sospetto che la persona che dirige, che ha passato più di un anno in carcere, in verità, sia un confidente della polizia a cui lo Stato permette che vada vendendo le sue sessioni apertamente in cambio di informazioni su chi partecipa o cose così. Ripeto, solo un sospetto.
Dall’altro lato, e non ci sbagliamo, di questo tipo di mercanti ayahuasqueri ce ne sono sia di occidentali che di nativi americani, che approfittano della moda e del colore della loro pelle per aggregarsi al grande beneficio senza avere la minima esperienza reale. Alcuni di questi nativi viaggiano sempre di più in occidente, mentre ce ne sono altri che offrono l’esperienza in centri situati nei loro paesi amazzonici, specialmente in Perù dove il mercato della pozione ha raggiunto livelli per niente sacri e solo comparabili a quelli della dolce e imbevibile sangría spagnola, quando è servita in bar per turisti di massa che immaginano la Spagna come una grande corrida, con toreri che camminano per le strade avvolti nelle loro mantelle e ballerini di flamenco in ogni bar.
Quando si arriva all’aeroporto internazionale di Lima, o di Tarapoto o di Pucallpa – città ayahuasquere – il turista si trova faccia a faccia con molte offerte per bere ayahuasca e, bisogna dirlo, offerte per niente sacre che provengono dal mondo nativo.
Nessuno con un po’ di sensibilità e conoscenza, dubita dell’origine geografica e culturale del consumo sacro di ayahuasca, e bisogna rispettarlo come si rispetta un padre, però altra cosa sono le forme e gli obiettivi del consumo. Nel mondo nativo tradizionale non si beveva come integratore psichico o come «medicina per la nevrosi», semplicemente perché questa malattia non esiste tra quelle persone sradicate dall’inevitabile processo di mondializzazione.
In alcuni casi, di fatto, c’è un furto di forme tradizionali. Tanto gli occidentali quanto i numerosi indigeni copiano le forme degli sciamani nativi senza capire la funzione dei fattori che entrano in gioco. Questo è letteralmente rapacità culturale e mercantilismo di moda.
Dall’altra parte ci sono persone, molte poche, tanto occidentali che nativi amazzonici, che hanno sviluppato nuove forme di consumo della pozione. Persone, tra le quali mi annovero, che hanno saputo dar valore in tutta la profondità che ha la funzione dell’ayahuasca nel mondo tradizionale, e hanno trovato modi di consumo altrettanto profondi ma più in accordo con le necessità dell’Occidente attuale, come ha fatto a suo tempo Raimundo Irineu Serra, fondatore della chiesa del Santo Daime.
E questo adattamento non deve essere considerata una appropriazione indebita né un furto delle tradizioni ancestrali, perché non vengono copiate. Quando si fanno le cose per bene, è un’evoluzione e un adattamento ai cambiamenti del mondo dal quale persino gli sciamani tradizionali hanno qualcosa da apprende.
Mercificare la tradizione
Così per esempio, nelle culture tradizionali, era lo sciamano, taita o wuishín, che beveva l’ayahuasca per «vedere» e curare o rimettere a posto le anomalie che causavano sofferenza o malattia. L’ayahuasca non si beveva in gruppo. Però è arrivato l’occidentale avido di esperienze e la tradizione è stata svilita: gli sciamani indigeni hanno cominciato a offrire sessioni di gruppo, come gli chiedevano i turisti. In poco più di venti anni – dagli anni ’90 fino ad oggi – i “visitatori” si sono convertiti in “masse di turisti” e più tardi in meri “clienti” o persino “promotori di sessioni” – e c’è – un campo molto vasto per le truffe.
Un buon amico, uno sciamano kamsá del sud della Colombia, figlio e nipote di sciamani che chiamerò Juan, mi ha spiegato che un uomo nordamericano, dopo aver bevuto ayahuasca con lui nella valle del Sibundoy, il suo territorio tradizionale, lo aveva invitato ad andare negli Stati Uniti a dirigere una sessione che proprio il nordamericano organizzava. Juan aveva accettato.
L’uomo gli avrebbe pagato 50 dollari per assistere alla sessione e Juan doveva portare l’ayahuasca. Tutto bene. Arrivato in USA aveva scoperto che l’uomo stava chiedendo 350 dollari ad ogni partecipante e che l’ayahuasca era proibita in quel paese, per cui Juan senza saperlo aveva corso un pericolo reale all’attraversare la frontiera con la pozione nella sua valigia.
Ciò nonostante, 50 dollari per partecipante era una buona quantità di denaro, stando la sua condizione economica. Non gli importava che il suo “agente” avrebbe intascato sei volte di più. La seconda volta che Juan rispose all’invito lo fermarono in dogana, e si dovette organizzare una campagna internazionale facendo pressione al governo degli USA perché lo rilasciassero.
Quando un occidentale cerca di emulare lo stile sciamanico di usare l’ayahuasca, quando si camuffa da sciamano con piume di pappagallo in testa e canta canzoni in qualche idioma che i partecipanti non capiscono, si converte in un atto con poco senso. Quando un occidentale ha appreso con serietà e responsabilità le forme di somministrazione, e la funzione esoterica ed essoterica dell’ayahuasca, e sviluppa una nuova forma, non è un danno per la tradizione amazzonica né una pagliacciata. È un cambiamento, una forma di uso storicamente nuova.
L’invenzione della trombetta
Fino al secolo XVIII c’era uno strumento a vento che consisteva in un tubo metallico con un augello da un lato e una campana dall’altro, e produceva note sonore a seconda della pressione dell’aria che applicava lo strumentista. Verso l’anno 1750 in Europa cominciò una trasformazione culturale conosciuta come Classicismo o Neoclassicismo, che coinvolse tutti gli aspetti della vita colta europea, incluso la musica, e tra il 1750 e il 1820 si sviluppo una nuova musica colta europea, incarnata in compositori di fama universale come J. Hydn, W. A. Mozart o L. W. Beethoven.
Questo cambiamento generò una necessità tecnica specifica, in risposta alla quale il musicista e inventore Charles Clagget nel 1790 costruì uno strumento conosciuto come “trombetta doppia” accordata in Re e Mi bemolle con un’unica imboccatura e con l’innovazione di aggiungere pistoni, prima due e poi tre, fino a darle la forma e la capacità musicale che hanno le trombe attuali.
Questo strumento, fu creato per interpretare la musica classica europea, però come accade di solito tra gli umani, velocemente arrivò in America, e ci fu qualcuno che la cominciò a suonare con diversi stili, ottenendo nuovi suoni. Nel decennio del 1890 già esisteva il jazz e il blues suonato con la tromba, e nel 1717 la famosa orchestra Original Dixieland Jazz Band realizzo il suo primo disco in cui la tromba era uno dei protagonisti.
Che penseremmo se Charles Clagget e i suoi discendenti si fossero opposti all’uso della tromba al di fuori delle orchestre classiche europee, all’uso sperimentale con nuovi suoni che potevano uscire dallo strumento a pistoni? Che diremmo se nello stesso tempo Alessandro Volta, che inventò la pila elettrica o Pila di Volta, che per la prima volta nella storia permise di produrre un flusso stabile di elettricità e fu precursore dell’attuale batteria elettrica, si fosse opposto a che la sua scoperta uscisse dalla sua conservatrice Italia natale?
Tutto cambia ed evolve
Non è certo lo stesso caso che con la diffusione dell’ayahuasca, però c’è qualcosa in comune. Bisogna accettare i cambi, tutto cambia. In effetti, non si deve accettare le brutte copie con pretesa che siano originali, la mancanza di rispetto, l’ignoranza presuntuosa, lo sfruttamento di risorse altrui, né le cattive prassi, però il cambio quando apporta miglioramenti, si.
Nell’esperienza con l’ayahuasca credetemi, è più importante chi la somministra e dirige la sessione che chi la beve. Quando si vola, perché il volo sia sicuro e interessante, è più importante il pilota che il passeggero.
Per tutto questo, e per finirla, vedendo la recente scarsità della liana per preparare la pozione, e il truculento marketing in cui si è caduti, nel 2018 mi sono deciso a cercare soci e fondare una riserva ambientale in piena Amazzonia ecuatoriana – oggi già conosciuta come casa Etno-Ahuao – dove coltivare le liane necessarie con qualità, rispettando l’ambiente e i diritti dei lavoratori, venerando le tradizioni locali e trasmettendo con responsabilità e persino con eleganza le conoscenza e la sensibilità imprescindibile per una buona sessione. Vi invito e persino oso aspettarvi.
Dr. Josep Ma Fericgla
Can Benet Vives, 13 de agosto 2019.
J. M. Fericgla (Barcelona, 1955) è un antropologo catalano. Laureato in Storia e dottore in Antropologia Sociale e Culturale presso l’Universitat de Barcelona, è stato professore d’etnomusicologia, mitologia i pensiero religioso en diverse università internazionali.