L’ayahuasca, un decotto curativo degli indigeni dell’Amazzoni, può essere una cura per malattie incurabili con metodi occidentali
FONTE: http://www.huffingtonpost.com/entry/shaman-medicine-autoimmune-disease_us_55f8737be4b0d6492d633c23
Dieci anni fa Mark, allora consulente politico del Michigan, 42enne e padre di cinque figli, fu portato d’urgenza in ospedale con seri problemi di stomaco.
A Pischea fu diagnosticato il morbo di Crohn, un disturbo cronico autoimmune che causa dolori addominali estremi, perdita di peso, fatica cronica e febbre. Per i successivi 10 anni della sua vita, il precedentemente padre di famiglia in salute, ha vissuto un ciclo costante di ricadute, operazioni e ricoveri.
Dopo la sua quinta operazione, Pischea ha passato sei settimane costretto a letto. A questo punto gli venne detto che l’unica opzione rimastagli era tentare una sesta operazione per rimuovere tutto lo stomaco. A quel punto si sentì pronto a morire.
Ma in effetti c’era un’altra opzione, anche se non convenzionale. Su insistente richiesta della moglie, Pischea scese dal letto, prese un aereo, e incominciò il suo cammino verso un centro di salute rustico in San Roque de Cumbaza, un piccolo villaggio nell’Amazzonia Peruviana.
Pischea ha passato lì le successive tre settimane in solitudine, seguendo una dieta stretta a base di riso, platano e particolari infusioni di piante preparati ad hoc per lui. Varie volte al giorno si incontrava con uno sciamano chiamato Antonio, che gli prescriveva piante locali conosciute per provocare il vomito, per pulire il suo corpo e far ripartire il sistema immunitario. Lo sciamano raccomandava inoltre di includere nella sua dieta l’ayahuasca, un potente decotto allucinogeno, e il kambo, il veleno di una rana della foresta.
Quattro mesi più tardi, Pischea era libero non solo dai sintomi del morbo di Crohn, ma anche dalla depressione che aveva sviluppato durante la sua malattia.
“Per me, essere libero dai sintomi non è niente di meno che un miracolo”, dice all’Huffington Post. “Sono grato per ogni giorno in cui mi sento bene”
Cercando una risposta
Pischea è uno del crescente numero di Americani che, combattendo contro il cancro, i disturbi cronici, le malattie mentali e altre patologie, si sono rivolti all’Amazzonia per cercare una risposta che la medicina moderna ha fallito nel dare.
“Sono stato nelle migliore cliniche al mondo specializzate in morbo di Crohn, e ho visto i migliori dottori al mondo, e nessuno di loro ha potuto aiutarmi”, dice Pischea. “C’è una capacità curativa nelle piante della foresta che è davvero necessario essere qui in questo ambiente per sperimentare. Io penso che davvero funziona.”
Ma il potenziale delle risorse medicinali dell’Amazzonia – specialmente le 80.000 piante native della regione, e la conoscenza sciamanica che spesso esiste solo in forma orale tra le tribù che stanno sparendo – rimane largamente inutilizzata. Nonostante il fatto che il 25% della moderna farmcopea derivi dalle foreste pluviali, attualmente solo l’1% delle piante tropicali è stato analizzato per propositi medicinali.
Anche le piante medicinali che sono comunemente usate dagli sciamani, così sono chiamati gli uomini e donne-medicina locali, sono poco comprese dai dottori occidentali. Attualmente c’è stata ben poca ricerca rivolta a valutare le piante indigene e i protocolli di trattamento sciamanici.
Ma questo sta cambiando. Adesso, un progetto di ricerca su larga scala stà creando l’opportunità per un incontro tra la medicina tradizionale e quella morderna, tra gli sciamani e gli scienziati.
In Ecuador e in Perù, la Fondazione Runa – una non-profit che fa lavoro di conservazione nell’Amazzonia e offre opportunità per un miglioramento economico delle popolazioni indigene – sta lavorando con una nuova iniziativa, PlantMed, per costruire delle cliniche adibite alla ricerca sulle piante medicinali, che saranno le prime della loro specie.
“Quello che stiamo facendo è cercare di riunire un team multidisciplinare che coinvolga dottori e psicologi occidentali e sciamani che sono indigeni di queste terre,” il Dr. Mauro Zappaterra, un dottore formatosi ad Harvard che è uno del consiglio consultivo delle future cliniche, dice ad Huffington Post: “Significa mettere insieme le migliori menti della medicina occidentale e della medicina tradizionale Amazzonica, sciamanica… per creare una medicina ancora migliore che incorpori le due.”
Cercare nella foresta pluviale la prossima molecola miracolosa non è certo una novità. Le compagnie farmaceutiche hanno mandato etnobotanici nella foresta per decadi al fine di testare e collezionare piante con potenziale medicinale. Ma per tutto questo sfruttamento c’è stata ben poca collaborazione tra questi ricercatori e le popolazioni che avevano assistito al potere curativo di queste piante per migliaia di anni.
Questo tipo di collaborazione è il centro della missione di PlanMed. Nel Centro Naku, che si trova in un’area di ricca biodiversità nell’Amazzonia Ecuadoriana, ricercatori da Stanford, Yale e altre istituzioni lavoreranno con i curanderi della tribù Shapara, un’etnìa in pericolo di estinzione di meno di 600 persone. Al Centro Rios Nete, in Perù, i ricercatori lavoreranno con gli Shipibo, una grande tribù i cui membri sono ben conosciuti per le loro capacità curative
In ogni cento un M.D. e uno sciamano, con il supporto di un team di professionisti del benessere e di medici, si prenderanno cura di un gruppo iniziale di 15 pazienti usando i protocolli sciamanici, mentre i ricercatori analizzeranno i loro trattamenti usando le tecnologie moderne.
Anche se la medicina moderna è il sistema di cura più sofisticato mai concepito, ci sono ancora “un sacco di buchi” al suo interno, dice il Dr. Mark Plotkin, un etnobotanico dell’Amazzonia, conservazionista e autore del libro “Racconti di un apprendista sciamano”, edito nel 1994.
“Basta guardare al cancro al pancreas, all’insonnnia, al reflusso gastrico, allo stress – tutte queste cose che la medicina occidentale non cura – per realizzare che abbiamo bisogno di alternative, o quantomeno integrazioni,” dice Plotkin all’HuffPost. “Come occidentali, ci è stato detto che niente che non sia fatto da un uomo bianco dentro un laboratorio è scienza, ma è ovvio che non è così.”
Il Dr. Gerard Valentine, uno psichiatra e ricercatore alla Scuola di Medicina di Yale e consulente per Rios Nete, dice che le cliniche PlantMed sono tarate per trasformare un tesoro trascurato di conoscenza botanica in una nuova forma di trattamento, pratica e basata su evidenze scientifiche.
I pazienti soggiorneranno in qualsiasi delle cliniche per periodi che andranno da almeno tre settimane a quattro mesi, a seconda della loro diagnosi e della progressione della malattia. Saranno assegnati sia un medico occidentale che a un curandero tradizionale, che lavoreranno insieme al suo caso.
Come occidentali, ci è stato detto che niente che non sia fatto da un uomo bianco dentro un laboratorio è scienza, ma è ovvio che non è così.
Per ciascun paziente lo sciamano condurrà un accertamento olistico della sua condizione fisica, mentale, emozionale e spirituale. Quindi gli verrà assegnato un protocollo di trattamento con piante medicinale per affrontare quello che lo sciamano ha determinato essere la causa del disturbo del paziente. Nel frattempo il ricercatori analizzeranno il metodo di trattamento dello sciamano e la prescrizione delle piante, misurando vari marcatori biologici della malattia nel paziente, prima e dopo il trattamento, annotando sia gli effetti positivi che quelli collaterali.
“Si tratta di creare non solo un centro di ricerca, ma un cento di cura,” dice Zappaterra. “Fare ricerca è cià che fa evolvere la medicina. Si fanno domande a cui rispondere. Si raccolgono i dati, si analizzano i dati. Si vedono quali sono gli effetti, si vedono quali sono gli effetti collaterali.”
L’ affare più grosso delle cliniche? Trovare una cura alle malattie autoimmuni.
Quando il corpo attacca se stesso.
Più di 50 milioni di Americani – cioè uno su 5 – soffrono di malattie auto-immuni, di cui ci sono più di 80 tipi conosciuti, inclusi il lupus, l’artrite reumatoide, il diabete di tipo 1 e la sclerosi multipla. Di questi 50 milioni di persone, il 75% sono donne.
Mentre trattamenti con varie percentuali di efficacia sono stati sviluppati, non c’è nessuna cura conosciuta. Alcune soluzioni ‘patchwork’ esistono, ma raramente i dottori sono in grado di identificare e affrontare la causa-radice che ha portato il sistema immunitario ad iniziare ad attaccare il suo stesso tessuto sano. Spesso i dottori ricorrono a droghe che sopprimono il sistema immunitario, come i corticosteroidi. Queste sostanze portano con se molti effetti collaterali, e non sempre sono efficaci.
“Ci sono molti disordini autoimmuni che colpiscono milioni di persone in giro per il mondo, per le quali non c’è cura, e i trattamenti sono lontani dall’essere efficaci,” il co-fondatore di Runa Tyler Gage ha detto all’HuffPost. “Quindi vediamo una grande finestra a cui la medicina botanica può contribuire”
Le malattie autoimmuni sono difficili per i dottori persino da diagnosticare, perché sono spesso annunciate da una costellazione nebulosa di sintomi come fatica, pensiero annebbiato, febbri frequenti e una generale sensazione di malessere. Per i pazienti degli Stati Uniti cui è stata diagnosticata qualche forma di malattia autoimmune, c’è vuoluto una media di cinque anni e cinque dottori solo per ricevere una diagnosi, secondo l’Associazione Americana di Malattie Autoimmuno-Relative.
Queste malattie sono misteriose e sfaccettate. Una possibile ragione che può spiegare perché molti resoconti parlano dei trattamenti sciamanici come più efficaci nel trattare le malattie autoimmuni, è che essi guardano al paziente in maniera olistica, tenendo in conto fattori mentali e emozionali.
“Molti ricercatori si stanno adesso concentrando su componenti ‘psicogenetici’ per i disordini autoimmuni, e cercando di capire la natura e l’origine psicosomatica di queste malattie,” dice Gage. “La strategia di trattamento nella medicina Amazzonica invariabilmente si concentra sull’interconnessione tra salute psicologica, emozionale, fisica e spirituale del paziente, e spesso bersaglia i punti di intersezione tra questi livelli.”
Nel suo libro del 2003 sul collegamento tra stress e malattia, “Quando il corpo dice No” (When The Body Says No), il dottore canadese Dr. Gabor Maté scrive che in praticamente tutti i pazienti autoimmuni con cui ha lavorato, “la repressione emozionale sottostante era un fattore sempre presente.”
Effettivmente, un crescente corpo di ricerche ha riscontrato che stress, traumi dell’infanzia e altri fattori psicologici possono giocare un ruolo nello sviluppo dell’auto-immunità. Uno studio ha riscontrato che i pazienti con artrite reumatoide spesso riportano di aver sperimentato negligenza emotiva o abusi nell’infanzia, mentre un altro ha trovato che pazienti con sclerosi multipla esibivano “un’insicurezza che li portava ad aver bisogno di cercare un amore più grande.”
Questa è solo una possibilità. Può anche essere il caso che qualche aspetto della composizione chimica unica delle piante Amazzoniche sia particolarmente adatto per combattere le irregolarità del sistema immunitario.
“Potrebbe essere che la natura dei disordini autoimmuni – che in molti casi è l’impossibilità da parte del corpo di distinguere tra sé stesso e ‘l’altro da sé’ – coinvolga qualcosa in più di un semplice interruttore on/off, e che qualcosa nella biochimica delle piante, o nel modo in cui vengono somministrate, sia capace di combattere questo qualcosa.” scrive il co-fondatore di Rios Nete Luke Weill in una mail all’HuffPost.
E’ importante notare che la medicina sciamanica non è un proiettile magico per le malattie autoimmuni, e potrebbe non essere efficace per molti o per la maggior parte dei pazienti. Tuttavia sempre probabile che apprendendo di più sulla medicina basata sulle piante, possiamo avanzare nella nostra comprensione di questi disturbi misteriosi, e possiamo migliorare il processo di cura.
“Gli sciamani dicono che Dio non ha creato una malattia senza creare una cura” dice Pischea. “Le cure sono qui. Dobbiamo solo trovarle.”
Tribù sull’orlo dell’estinzione
C’è purtroppo una buona possibilità che non troveremo questa cura nonostante tutto, se la rampante distruzione della foresta pluviale continuerà. Allo stesso tempo in cui gli occidentali stanno vivendo più a lungo e più malati che mai, e che le malattie croniche hanno un impatto annuo di più di 1.3 trilioni di dollari sull’economia Americana, l’Amazzonia è una grande risorsa non inutilizzata che non possiamo permetterci di non utilizzare.
Mentre le culture indigene come gli Sapara e gli Shipibo tentennano sull’orlo dell’estinzione – gli Sapara, un tempo una prospera tribù di più di 200.000 persone, si è ridotta fino a 575 – la loro vasta conoscenza medicinale, molta della quale non è conservata da nessuna parte in maniera scritta, è prossima alla sparizione insieme a loro.
Questa sarebbe una grave perdita. Gli Sapara hanno fatto grandi progressi nella medicina delle piante, stabilendo molti usi per più di 500 diverse piante locali, ma molto poco di questa conoscenza è entrata nella medicina occidentale.
Come il capo degli Sapara ha detto a PlantMed, i membri della tribù hanno la volontà di condividere la loro conoscenza.
“Sono impazienti di condividere la loro medicina e le loro tradizioni con il mondo in un modo che sia rispettoso e scientifico,” dice Gage.
PlantMed è in una posizione unica per rendere questa visione una realtà. L’organizzazine ha avuto relazioni con la tribù per più di una decade, ed è dedicata alla divulgazione della loro conoscenza in modo rispettoso.
Questa collaborazione, sfortunatamente, sarebbe un’eccezione, non la norma storica. La conscenza delle popolazioni native è stata sfruttata dalle compagnie farmaceutiche troppe volte per darne conto. Come Plotkin ha reso noto in un popolare intervento a TED talk l’anno scorso, quando è stato sviluppato un farmaco per l’AIDS con il veleno di un serpente Brasiliano da tempo usato per propositi medicinali dai nativi, quegli stessi nativi Brasiliani non hanno visto un penny di questi soldi.
“C’è un modo sbagliato [di lavorare con queste tribù], che è stato attuato prima, e un giusto modo per farlo, di cui abbiamo una traccia, ma che non è ancora stato messo in pratica.” Ha detto Plotkin all’HuffPost.
Questi nuovi centri di ricerca potrebbero essere il “giusto modo”.
“Vediamo le cliniche come una piattaforma per nutrire e potenziare la conoscenza posseduta da queste comunità, come anche le piante stesse che sono alla base di questi trattamenti – in particolare dato che entrambe stanno sparendo rapidamente,” Ben detto. “Speriamo di dimostrare il loro valore al resto del mondo con la speranza di arrestare questa distruzione.”
Pischea, inoltre, spera che questi trattamenti saranno disponibili ad altri che combattono con i disturbi cronici. Oggi sta godendo di buona saluta e rinnovata energia. C’è sempre il rischio che questi sintomi possano ritornare, come nel caso dei disturbi autoimmuni, ma lui prende la vita giorno per giorno.
“Il fatto è che molte persone che soffrono potrebbero sentirsi meglio,” dice. “Penso che anche molti dottori Occidentali stanno cominciando a vedere che ci sono risposte che sono al di là dei libri, e che hanno bisogno di essere aperti a qualsiasi cosa che faccia bene ai loro pazienti.”
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Questo articolo è stato tradotto dall’originale e l’autore dello stesso è menzionato all’inizio del testo. Per conoscere maggiori informazioni sull’autore seguire il link che cita la fonte.
Questa iniziativa e’ ottima ma forse non è del tutto giusta, secondo me è sbagliato parlare di “protocolli”ogni individuo va ascoltato e va trovata la pianta giusta per lui questo ha sempre fatto lo sciamano proponiamo la creazione di ospedali-cliniche nella foresta facciamo in modo che i vari paesi diano la possibilità ai malati di essere curati in queste strutture, visti i costi enormi che i vari paesi devono affrontare per i malati di patologie autoimmuni, così ,probabilmente, si salveranno la foresta le popolazioni in via di estinzione e tante persone malate che torneranno alle loro casa guarite nel corpo ma soprattutto risanate nello spirito e nella mente, che è la fonte di tanto malessere. Grazie
Credo che proprio a questo si riferisca l’articolo parlando di ‘protocolli’. Alla fine è proprio un ‘protocollo’ quello di fare prima un esame globale e olistico della persona per trovare la pianta, o in generale la giusta cura, da dare al paziente. Non è niente di protocollabile, è vero, perché l’intuizione potrebbe sempre suggerire una cura nuova, mai attuata prima, in qualsiasi momento. Ma vaglielo a dire alla scienza, che deve curare tramite le indicazioni che arrivano dallo Spirito 😀 😀
Mi sembra che, rispetto alla chiusura e alla presunzione tipiche della scienza occidentale, questo sia già un grandissimo passo avanti!
Poi, certo che è auspicabile che gli stati occidentali mettano i pazienti in condizione di scegliere se affidarsi a cure alternative, ma non lo fanno neanche ‘in casa’, figuriamoci pagare per un eventuale soggiorno all’estero a curarsi con gli sciamani!
Ma tutto può essere… chissà… in futuro! Per ora, già solo il fatto che ci saranno dei medici occidentali che potranno consigliare a un paziente una cura alternativa, mi sembra molto.