Quali sono le principali differenze tra l’uso sciamanico e tradizionale dell’ayahuasca e il tipo di uso che si è diffuso negli ultimi 15 anni alle nostre latitudini?
Lo sciamanesimo è considerato la più antica delle religioni, ovvero il primo tentativo dell’uomo di entrare in contatto con la dimensione spirituale. Questo contatto avveniva attraverso ciò con cui l’uomo nella sua condizione primitiva (nel senso di “ciò che viene prima”, e non dispregiativo) si trovava più a stretto contatto: gli elementi della natura.
Lo sciamanesimo di tutto il mondo, cioè le pratiche seppur diversissime che in tutto il globo e in ogni epoca vengono accomunate sotto il cappello di “sciamanesimo”, sono pratiche che sfruttano gli elementi naturali – piante, animali, terra, fuoco, acqua – per permettere all’uomo di accedere ai mondi invisibili, i mondi appunto dello spirito, o forse meglio dire in questo caso “degli spiriti”.
Man mano che l’uomo modifica le sue condizioni di vita, da cavernicolo diventa coltivatore, si insedia in piccoli centri urbani, via via civilizzandosi sempre di più – e di pari passo con l’astrazione concettuale che il suo pensiero assume – gli spiriti con cui le pratiche sciamaniche fanno entrare in contatto assumono anch’essi connotati più “astratti”.
Questo processo culmina in quelle che conosciamo come religioni vere e proprie, con Dei e Dii posizionati totalmente fuori dalla sfera della materia, che dimenticano del tutto le proprie origini sciamaniche, perdendo le pratiche ad esse legate. La dimensione della vita dell’uomo diventa sempre più “psicologica” e mentale, con ripercussioni in tutte le sfere dell’esistenza, compresa la religiosità.
Questa divergenza tra modernità e passato, tra sciamanesimo e religiosità contemporanea, si riflette anche nel modo in cui l’ayahuasca – questo decotto medicinale visionario usato dalle popolazioni tribali amazzoniche da qualche centinaio, forse migliaio, di anni – viene usata dai popoli indigeni e da noi. Sia negli scopi che nei modi.
L’ayahuasca nel contesto sciamanico amazzonico
L’uso sciamanico dell’ayahuasca ha degli scopi prettamente curativi: l’ayahuasca è considerata una medicina, anzi, più che una medicina uno “strumento” a servizio della medicina. Per quanto infatti gli sciamani riconoscano un valore medicinale anche all’ayahuasca in sé per sé (principalmente come purgante e antiparassitario), l’uso che ne fanno è di tipo “diagnostico”, ovvero la usano per fare la diagnosi delle malattie e per ricevere istruzioni su quale cura dare al paziente.
La cura vera e propria sarà sempre a base di piante, la farmacia degli sciamani amazzonici è la foresta: si conta che i gruppi indigeni tradizionali conoscessero qualcosa come 500 specie botaniche differenti e le loro relative proprietà medicinali. Conoscenza che ahimè si va man mano perdendo con la modernizzazione del loro stile di vita, ma questa è un’altra storia.
Lo sciamano acquisisce una profonda conoscenza di queste piante e delle loro proprietà attraverso la pratica che si conosce come “dieta”: periodi di isolamento e di rigide restrizioni (che ricordano molto quelle dei nostri “asceti”) in cui la pianta viene assunta in forma di decotto, di vapori o di bagni. La “dieta” serve per entrare in contatto con – e nelle grazie dello – Spirito della pianta. Durante le diete non si beve ayahuasca, tradizionalmente.
Successivamente lo sciamano, quando si trova a dover curare un paziente, mediante l’ayahuasca entra nello stato amplificato di coscienza e richiama lo spirito della pianta che ha dietato, con cui ha stretto un’alleanza. A questo punto attraverso il canto di icaros – canti che per lo più sono stati consegnati allo sciamano proprio durante il periodo della dieta dalla pianta stessa – passa al paziente “la sua medicina”, ovvero la forza della pianta che ha incorporato attraverso la dieta.
Contemporaneamente il paziente stesso entra nel processo di “dieta” con la stessa pianta, anche se in questo caso lo scopo della dieta è la cura e non l’apprendimento. Il paziente in tutto questo processo non beve ayahuasca, sarà solo lo sciamano che durante le cerimonie di cura l’assumerà. Durante le cerimonie continuerà ad indirizzare i suoi canti verso l’infermo, per chiedere alla pianta di curarlo e rafforzare l’azione curativa che la pianta sta già svolgendo in lui, per via della “dieta” che egli segue.
Così può essere descritto, anche se molto genericamente, il rapporto dello sciamanesimo con l’ayahuasca. Sicuramente ci sono delle eccezioni, ogni etnia ha le sue consuetudini, ci sono casi in cui l’ayahuasca viene anche usata per scopi celebrativi – e in questo caso tutto il villaggio la assume –, per riti di passaggio destinati agli adolescenti, per dirimere diatribe interne, per conoscere il futuro etc. Ma, restando nell’ambito della cura, questo più o meno è lo standard con cui gli sciamani amazzonici operano attraverso l’ayahuasca.
L’ayahuasca nelle popolazioni tribali amazzoniche, in contesto sciamanico, viene assunta solo dagli sciamani o da chi viene designato come destinato a diventare sciamano.
L’ayahuasca nel contesto occidentale
L’uso di ayahuasca nei paesi industrializzati si è diffuso invece principalmente come strumento di evoluzione personale, o di auto-aiuto. Ciò significa che non è considerata una “medicina”, se non per quanto riguarda strettamente il piano psicologico: non si cerca l’ayahuasca per guarire da uno stato di malattia fisico (se non in alcuni casi specifici), ma piuttosto per alleviare alcune condizioni di disagio psicologico, o per cercare una crescita spirituale.
Questa è anche la propaganda che ne viene fatta attraverso i resoconti individuali delle persone che ne hanno fatto esperienza, fino alle pubblicità esplicite dei gruppi che la commercializzano senza falsi pudori:
“L’ayahuasca può aiutarti a trovare la tua vera natura spirituale e a superare i tuoi problemi psicologici: depressione, ansia, stress, dipendenza.” Questo si legge negli slogan che girano sui social.
Sono questi infatti anche i casi in cui si è concentrata maggiormente la ricerca scientifica sull’ayahuasca negli ultimi decenni: ayahuasca e qualità della vita, ayahuasca e dipendenza, ayahuasca e depressione. Un’altra direzione interessante e apparentemente fruttuosa, ma sicuramente minoritaria, e quella delle malattie neuro-degenerative, come morbo di Parkinson, di Alzhaimer o Sclerosi multipla: sembra infatti che l’ayahuasca sia in grado di far crescere nuove cellule cerebrali, grazie alla presenza degli alcaloidi armalinici .
In ogni caso i gruppi in cui si assume ayahuasca nei contesti occidentali non sono condotti da nessuno “specialista” della salute, fisica o psicologica che sia. Il ruolo che si riconosce a chi guida le cerimonie di ayahuasca in occidente (chiamati genericamente “facilitatori”) è piuttosto quello di creare un funzionale spazio energetico – e sottofondo musicale – all’interno del quale la persona può fare il suo individuale viaggio alla scoperta di sé stesso.
Differenze e implicazioni
La differenza che salta nettamente agli occhi da questa breve illustrazione è che il tipo di contesto sciamanico è sicuramente di tipo “spirituale”, nel suo senso più ampio: ovvero ciò con cui – e per mezzo di cui – si lavora, sono gli spiriti. Spiriti che aiutano la guarigione ma anche spiriti che favoriscono la malattia.
Quello che per lo più raccontano gli sciamani rispetto al loro “lavoro” è qualcosa di simile a una battaglia in cui si servono dei loro alleati spirituali per scacciare gli spiriti malvagi che hanno causato la malattia. Questi alleati sono piante, animali, sirene e altre creature ‘mitologiche’, spiriti di antenati o di Maestri viventi e, più tardi, con l’integrazione del cattolicesimo, tutto il pantheon cristiano. Molto spesso questi spiriti malvagi sono stati messi nel malato da altre persone nemiche, frequentemente si tratta di altri sciamani. E in questo caso la battaglia diventa non più tra entità spirituali ma, attraverso esse, è una vera e propria “competizione” tra curanderos.
Nel contesto occidentale invece il lavoro è molto più di tipo “psicologico”, anche se si tratta di una psicologia “spirituale”, o meglio transpersonale, come è stata definita la psicologia post-moderna che ingloba gli aspetti spirituali nello studio della psiche. Le persone svolgono sostanzialmente da sole il loro lavoro di auto-esplorazione e auto-guarigione, e l’ayahuasca viene usata proprio per favorire questo processo, attraverso lo stato di amplificazione di coscienza che induce.
Ogni partecipante beve l’ayahuasca, mentre i facilitatori intonano musiche e canti, o riproducono brani registrati appropriati al contesto, e non si preoccupano più di tanto dei partecipanti, fintanto che questi non manifestano apertamente qualche tipo di disagio.
Che il facilitatore ne sia cosciente o meno, egli comunque influenza l’andamento generale della cerimonia e le esperienze delle singole persone, mediante la sua sola presenza e l’energia che apporta, che a sua volta dipende dal suo vissuto e dal suo stato di coscienza. Ed è propria questa presunta mancanza di coscienza rispetto al suo ruolo di “indirizzo” della cerimonia, che i fautori della tradizione criticano ai conduttori di cerimonie in stile moderno.
Gli sciamani delle tradizioni amazzoniche si sottopongono ad addestramenti che durano da un minimo di 7 fino ad oltre 12 anni, prima di essere considerati pronti ad esercitare il loro “mestiere”. Questo perché devono diventare consci di tutti i possibili spazi energetici e spirituali che l’ayahuasca può aprire, essere in grado di maneggiarli, aprirli, chiuderli, pulirli, difenderli da intrusioni, etc.
Tutto questo innanzitutto per la propria incolumità, poiché nella loro visione del mondo spirituale, come abbiamo visto, tutto è una lotta tra forze del bene e forze del male, ed essere esposti a queste forze mediante l’assunzione dell’ayahuasca li rende vulnerabili.
Come è facile intuire, dal punto di vista sciamanico, quando durante una cerimonia tutti i partecipanti assumono ayahuasca, questa esposizione a rischi e pericoli immateriali si estende a tutti i partecipanti, quindi il ruolo di protezione dello sciamano da questo tipo di forze si allarga a tutti.
Nella descrizione dei mondi spirituali fatta dalla nuova spiritualità occidentale dell’ultimo secolo invece, che per comodità chiameremo “new age”, non esiste nessuna dicotomia tra bene e male, “tutto è Uno”. In questa visione delle cose non solo non c’è spazio per una figura che abbia un ruolo di “protezione”, ma non c’è neanche nulla da cui proteggersi.
Chi ha torto e chi ha ragione?
Quale delle due visioni abbia ragione, non sta a me dirlo. Senza dubbio la differenza culturale gioca un fattore determinante anche rispetto a cosa si percepisce o si “vede” durante l’apertura di coscienza indotta dall’ayahuasca. Molto probabilmente per gli sciamani il lungo periodo di apprendimento serve anche ad imparare “cosa” vedere quando si assume l’ayahuasca, o piuttosto come interpretare ciò che si vede.
Questo significa che se i facilitatori moderni non “vedono” le stesse battaglie che vedono gli sciamani, non è che queste non esistano, né che siano loro a non essere in grado di vederle. Molto probabilmente entrambi danno nomi ed interpretazioni diverse alle cose che vedono.
Una delle interpretazioni che differiscono di più è nel significato attribuito alle energie “oscure”, alle presenze, sensazioni, o visioni spiacevoli che possono emergere durante l’esperienza. Laddove gli sciamani amazzonici vedono sempre una causa esterna – la vendetta di uno sciamano rivale, l’invidia di un conoscente etc. – gli occidentali cercano sempre una causa interiore.
L’evoluzione del nostro modo di intendere il cosiddetto “lavoro interiore” ci porta ad identificare qualsiasi cosa esterna come un riflesso di una nostra attitudine interna. “Il mondo è il riflesso di ciò che sei”, “Cambia te stesso e cambierai il mondo”, sono solo alcuni dei meme contemporanei che esplicitano l’attitudine interiorizzante e psicologizzante della moderna “scienza del risveglio”.
Tuttavia la maggioranza delle tradizioni sciamaniche, pagane o popolari di cui sono a conoscenza, considerano importante munirsi di protezioni, anche esterne, rispetto alle forze negative che “girano” nel mondo eterico/astrale e che cercano corpi materiali in cui incarnarsi, producendo malattie. Sarà superstizione o realtà?
Se, come spiega J. Mabit in una delle sue ultime interviste, la superstizione è un’attitudine a credere senza vaglio critico a qualsiasi cosa ci venga detta, per quanto stravaganze, inverosimile o irrazionale sia, allora questa attitudine non si può riferire alla spiritualità sciamanica. Gli sciamani infatti sottopongono le loro visioni e le loro pratiche alla prova dei fatti, i pazienti guariscono: se i pazienti non guariscono nessuno si reca più dallo sciamano o presunto tale. É molto semplice.
Si potrebbe dire la stessa cosa dei “pazienti” dei facilitatori nostrani? Guariscono? Sarebbero guariti lo stesso se avessero assunto ayahuasca in contesti diversi sotto la direzione di altri facilitatori? Come si distingue un buon facilitatore rispetto a uno incapace? Dove sta la differenza tra l’assumere l’ayahuasca con uno piuttosto che con un altro facilitatore? Solo nel tipo di musica che impiega, più o meno piacevole?
La musica e il ruolo che gioca durante l’esperienza
Su questo ultimo punto è bene spendere un altro paio di battute. La percezione della musica durante lo stato amplificato di coscienza è qualcosa di estremamente differente rispetto alla percezione in condizioni ordinarie. In condizioni di normalità sono il gusto, l’emozione e l’intelletto che determinano il piacere o meno di ascoltare un certo tipo di musica.
Ma durante l’esperienza con l’ayahuasca la musica, in generale la vibrazione sonora di qualsiasi tipo, assume una consistenza quasi “fisica”. Molto spesso sembra addirittura legarsi all’esperienza stessa in modo da guidarla, nel bene o nel male. Dalla musica o dai canti possono dipendere il tipo di visioni, il tipo di sensazioni, la risoluzione di, o l’immersione in, processi catartici etc.
Questo è il principale ruolo della musica così come viene eseguita nelle cerimonie new age: in questo senso il ruolo del facilitatore è quello di scegliere “buona musica”, che si leghi all’andamento dell’esperienza. La sua particolare sensibilità, la sua capacità di entrare a fondo nel flusso dell’esperienza collettiva, gli permetterà di scegliere il tipo di canti o di musica congeniale.
In questo tipo di esperienza anche chi non è particolarmente dentro al processo può considerare piacevole l’ascolto dei canti, perché questi sono musicali e melodici. Mentre per quanto riguarda gli icaros degli sciamani, questi non sono sempre legati anche ad un piacere estetico.
Gli icaros sono canti ispirati nel momento esatto in cui vengono cantati, le parole sono legate alla specifica operazione che lo sciamano sta compiendo (pulire, scacciare gli spiriti, propiziare buona sorte), e l’importante per lo sciamano è che siano efficaci, non belli. In questo caso per una persona a cui l’ayahuasca non avesse dispiegato tutto il suo potenziale, questi canti potrebbero sembrare persino noiosi, ripetitivi o sgradevoli.
Da tutto quanto detto si capisce che non è facile apprezzare a pieno la differenza tra una cerimonia guidata da uno sciamano e una cerimonia guidata da un facilitatore. Per chi non ha accesso ai mondi dello spirito (va chiarito che la maggior parte delle persone non ce l’ha, soprattutto le prime volte) può persino sembrare più confortevole partecipare a cerimonie in cui non ci sia nessun effettivo lavoro di cura, ma il facilitatore sia un bravo musicista.
Ma a scapito di cosa viene fatta questa scelta?
Considerazioni finali
Per finire quindi vorrei solo ricordare che in entrambi i casi la cosa più importante è che la persona che conduce l’esperienza sia affidabile e preparata. Anche nel caso in cui il facilitatore non abbia una preparazione tradizionale infatti, più la sua esperienza è lunga, più è possibile che la sua conoscenza dello spazio sia sufficiente a tenere sotto controllo l’andamento della cerimonia e garantire una certa pulizia e protezione dello spazio.
Un sufficiente periodo di apprendimento, secondo la mia esperienza, non può essere inferiore ai 7 anni di lavoro continuato, perché questo è il tempo necessario affinché l’ayahuasca si mostri in tutte le sue sfaccettature. Sarebbe meglio più tempo ancora, e sarebbe meglio che fosse qualcuno che ha molta, molta più esperienza di noi, a decretare se noi abbiamo raggiunto il livello sufficiente di comprensione per essere a nostra volta delle guide in quei mondi.
Ma ahimè tutto questo è pura utopia nel nostro frenetico mondo occidentale dove si acquisisce un diploma di insegnante di yoga in 200 ore di teacher training. Questo modello di marketing della capacitazione viene applicato ormai da tempo anche al mondo dell’ayahuasca, da certe scuole che sfornano facilitatori con corsi di qualche fine settimana, e che poi suggeriscono agli stessi di non bere durante le cerimonie che conducono. Capirete, se avete seguito i miei discorsi, come tutto questo non abbia alcun senso!
Ma purtroppo la cosa ha preso piede, e anche al di fuori di queste scuole c’è un proliferare di persone che si sentono “chiamate” a guidare sessioni di ayahuasca senza averne la benché minima preparazione.
Ricordiamo che questo non danneggia potenzialmente solo i partecipanti, ma anche, e probabilmente in maniera maggiore, lo stesso conduttore dell’esperienza.
Si laurea in Sociologia nel 2001 alla Sapienza di Roma, con una tesi sull’uso contemporaneo di sostanze psichedeliche. È ricercatrice spirituale dal 2004 e apprendista di medicina tradizionale amazzonica dal 2017. È autrice della trilogia autobiografica “Storia d’Amore e d’Ayahuasca”.